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«Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11). Per riconciliarci con il Padre e tra di noi, egli ha offerto se stesso, ha sancito l’Alleanza di amore sigillandola con il proprio sangue.
Il sangue di Cristo, vero Dio e vero Uomo, in quanto sangue umano è sparso nel dolore e nell’angoscia, nell’Orto degli ulivi e sulla Croce, ma, essendo anche sangue divino, ha il potere di redimere, di santificare, di purificare veramente le nostre coscienze. Una sola goccia di questo sangue – come si canta nell’inno Adoro te devote – può lavare tutto il mondo.
Ogni giorno noi possiamo ricevere questo sangue nell’Eucaristia; ogni giorno, quindi, si rinnova la grazia della nostra redenzione, della nostra rigenerazione, e diventa più forte il nostro legame con il Signore. Egli ci stringe sempre più fortemente nel suo abbraccio d’amore, vale a dire ci chiama ad essere più partecipi della sua opera di redenzione universale, ad essere più donati a lui per il bene dei fratelli.
«Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia» (1 Pt 1,18-19). Voi sapete, dice l’apostolo Pietro. Noi lo sappiamo davvero? Occorre prendere sempre più coscienza di quanto siamo costati al Signore e non disprezzare il sangue che Cristo ha versato per noi. Dalla consapevolezza nasce la gratitudine; e la gratitudine accresce il desiderio di vivere coltivando il senso della fede, praticando il comandamento dell’amore, offrendo in gratuità il nostro tempo per sostare in silenziosa adorazione davanti al tabernacolo.
Gesù è vittima e sacerdote, offerta e offerente; è l’Agnello che toglie i peccati del mondo, prendendoli su di sé. È vittima perché espia per noi, è sacerdote, perché è lui stesso che, in piena libertà e con amore, si offre per noi. Immenso è il valore di questo sacrificio; ma perché esso possa operare in noi, non basta che ci nutriamo del Pane e del Vino consacrati: bisogna che siamo anche noi disposti ad offrirci a Dio per i fratelli. E come? Accogliendo e vivendo in spirito di offerta quelle sofferenze che il Signore permette vi siano nella nostra vita; sofferenze che hanno lo scopo di purificarci e di dilatare il nostro cuore sulla misura della carità di Cristo. In un momento di grave malattia, Mons. Mariano Magrassi – abate benedettino dell’abbazia di Noci e poi arcivescovo di Bari – annotava nel suo Diario: «Ieri non ho potuto celebrare. Ho sentito che comincia il Calvario. Grazie a Dio, questa mattina ho potuto riprendere il calice tra le mani. Il calice – lo so – è il simbolo della volontà di Dio e dei sacrifici che impone. In questi giorni ci penso spesso. Offrendo al Signore l’“Ostia pura”, ho sentito che essa è ad un tempo Lui e io: un’unica oblazione. Sentirsi identificati con Cristo è sempre bello, anche nell’immolazione. “Impara ad offrirsi insieme con Lui”, dice sant’Agostino della Chiesa e dell’anima. Nei momenti di sofferenza si coglie tutta la verità di queste parole. Fiat, Domine. Dolce mamma del cielo, la mia consacrazione a Cristo, per mezzo delle tue mani, ora mi sembra più vera e più bella» (P. Mariano Andrea Magrassi, La Scala, Noci 2005, pp. 51-52).
«Senza spargimento di sangue non c’è perdono» (Eb 9,22) è scritto nella lettera agli Ebrei; senza il sangue versato da Cristo non c’è salvezza per l’uomo; ma non possiamo essere purificati, fortificati, santificati senza una partecipazione intima, profonda, amorosa alla Passione di Cristo.
Tutti i santi hanno sperimentato tale partecipazione alla Passione di Cristo come un’unione sponsale, sentendosi nell’ora della provacitazione sacra
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non vittime di un cieco destino avverso, ma congiunti a Cristo nell’amore e più intimamente associati al suo disegno di universale salvezza: «È proprio dei perfetti – diceva un altro monaco: Guigo II, certosino – ricevere il calice della salvezza, che è il calice di Gesù, cioè accettare di buon grado le sofferenze. Per i perfetti le sofferenze sono dolcissime. Infatti, quale sapiente, che capisca la misericordia di Dio, non vorrebbe accettare il calice della benedizione dalla mano del Signore, bevendo e partecipando alle sofferenze di Dio? Il Primogenito lo prese per primo, bevve e rese grazie, poi lo diede ai discepoli. Se infatti non ci fosse stata prima la Passione di Cristo, che benediceva anche la nostra sofferenza, la nostra passione non sarebbe per noi benedizione di dolcezza, ma calice di amarezza. La morte di Cristo, invece, ha trasformato l’amarezza in grande dolcezza».
Per la rinnovata offerta del sangue di Cristo, che avviene in ogni S. Messa, noi siamo congiunti a Gesù – come dice san Paolo – portando continuamente in noi la sua Passione, per avere in Lui anche la resurrezione e la glorificazione. Ogni nostra sofferenza fisica o morale può rientrare in questo grande sacrificio dell’eterno Sacerdote, dell’Agnello immolato per la salvezza di tutti.
Ci conceda il Signore di comprendere l’inestimabile valore che può avere ogni istante della nostra vita, se in tutto quello che facciamo e in tutto ciò che ci accade rimaniamo uniti a Gesù e da Lui attingiamo luce e forza per compiere in tutto la volontà dell’Eterno Padre. Sospinti dallo Spirito che fa urgere dentro di noi lo zelo della carità, potremo attirare a Dio una moltitudine di fratelli, poiché soltanto l’amore salva: l’amore di Cristo, l’amore che sa offrirsi, l’amore che si dona senza misura.

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