Il giorno stesso della Risurrezione, mentre gli Apostoli, ancora timorosi, si trovano riuniti nel luogo dove avevano cenato con Gesù la sera prima della sua passione e morte, ecco che egli – entrando a porte chiuse – appare in mezzo a loro e li saluta: «Pace a voi!». Queste parole sono molto più di un saluto: sono il dono della pace che Gesù aveva promesso. Gli apostoli, però, sono così stupiti da non riuscire a credere d’avere davanti il loro Maestro risorto e vivo. Gesù, per dissipare il loro timore e vincere la loro incredulità, chiede qualcosa da mangiare e prende cibo alla loro stessa mensa. È proprio Lui, realmente morto e realmente risorto; non è un fantasma, non è presente solo nel ricordo dei discepoli, ma presente con la sua persona reale, in carne ed ossa. Manca però l’apostolo Tommaso, il quale non crederà alla notizia data dagli altri.
Otto giorni dopo – sempre il primo giorno della settimana – Gesù appare ancora ai suoi discepoli che hanno già preso la bella consuetudine di riunirsi per “fare memoria” di Lui, e in tale occasione c’è anche Tommaso che, vedendo le piaghe del Maestro, fa la sua solenne professione di fede, con un atto di profonda adorazione: «Mio Signore e mio Dio!».
Fin dalla nascita della Chiesa questo giorno diventa il “Dies Domini”, il giorno del Signore: la “Domenica”. È detto primo giorno della settimana e nello stesso tempo l’ottavo giorno, con due diverse e complementari sfumature di significato. È il primo giorno, perché in esso Cristo è risorto e, grazie alla vittoria da Lui riportata sul peccato e sulla morte, ha inizio una nuova creazione, il rinnovamento dell’umanità.
Questo giorno è perciò da dedicare in modo del tutto speciale al Signore, affermando così che egli tiene il primo posto nella nostra vita e che proprio da Lui attingiamo la forza per affrontare il cammino e le fatiche di tutti gli altri giorni.
La domenica è pure considerata l’ottavo giorno, in quanto è il giorno della “pienezza”, del “compimento”, giorno che già prefigura e anticipa su questa terra di esilio e di pellegrinaggio la gioia della vita eterna, in cielo.
Dopo l’ascensione, la presenza di Gesù fra i suoi discepoli non è più fisica, ma sacramentale, e tale rimane anche per noi, oggi. Ogni Santa Messa contiene e rende presente tutto intero il mistero pasquale: dalla sera dell’ultima cena fino alla fine dei tempi, Gesù continua realmente a sacrificarsi e a darsi a noi come pane di vita. Se ogni S. Messa può giustamente essere detta “Pasqua quotidiana”, la S. Messa domenicale è in modo particolare una celebrazione pasquale: è la “Pasqua settimanale”; è il giorno del nostro incontro con Gesù risorto ed è quindi anche il giorno della nostra risurrezione insieme con Lui, poiché si rinnova la grazia battesimale della nostra rigenerazione a figli di Dio.
La Messa si compone di due parti: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. Il legame tra di esse è molto stretto; infatti Gesù è tanto Verbo – Parola – di Dio quanto Pane di vita. Nella liturgia della Parola, i passi dell’Antico e del Nuovo Testamento sono scelti e disposti in modo tale da farci ripercorrere nell’arco dell’anno liturgico l’intera storia della salvezza. Fa parte della liturgia della Parola anche l’omelia del sacerdote celebrante che spiega con parole sue, ma sempre in nome del Signore e illuminato dallo Spirito Santo, il significato delle letture ascoltate, e aiuta anche ad attualizzarle.
Venendo a conoscere i “mirabilia Dei”, le opere meravigliose compiute da Dio in nostro favore, l’assemblea dei fedeli risponde alla Parola di Dio rinnovando la propria professione di fede (il Credo) e apre il cuore alla preghiera e all’accoglienza.
La Liturgia eucaristica inizia con la presentazione delle offerte al Padre. Il pane e il vino sono doni di Dio ed insieme frutto del nostro lavoro; essi rappresentano tutte le nostre fatiche, le nostre speranze, le nostre pene e le nostre gioie; rappresentano anche tutta la creazione che, avendo subito le conseguenze del peccato originale, ora viene essa pure resa partecipe della salvezza (cf. Romani 8).
Dopo l’offertorio, ecco che si ripete il grande evento: nella persona del sacerdote è Gesù stesso che è presente e rinnova, in modo misterioso ma vero, il suo sacrificio redentore. Egli patisce, muore per noi e risorge. È lui che ancora dice: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue». Il pane di vita è lì, pronto per noi: se ce ne nutriamo, entriamo in comunione con Gesù e, tramite Lui, con il Padre e con i fratelli.
È evidente, dunque, che per i cristiani non c’è azione più grande della S. Messa. In essa ci sono tesori più preziosi di tutti i beni della terra. In essa c’è già il Paradiso, perché c’è il Signore. Noi siamo come dei poveri mendicanti che ricevono l’invito a partecipare al banchetto nuziale di un re. In quanto poveri, non possiamo certo fare grandi doni, eppure non dobbiamo presentarci a mani vuote! Che cosa porteremo dunque? Il nostro cuore, noi stessi come dono. Porteremo, cioè, il nostro amore, i nostri desideri, i nostri sacrifici; porteremo – facendole nostre – le sofferenze e le attese di tutti gli uomini; porteremo tutto ciò che ci rattrista e tutto ciò che è per noi fonte di gioia. Unendoci all’offerta di Gesù, offriremo tutto al Padre, affinché anche il male si trasformi in grazia, e il bene sia a sua gloria e a salvezza del mondo intero.
In questo modo noi diciamo a Dio il nostro “sì” di figli obbedienti e il nostro “grazie” di figli riconoscenti per tutto quello che sperimentiamo nella nostra quotidiana esistenza.
Se crediamo che la domenica è il giorno della festa perché è il giorno del Signore, anche durante i giorni feriali avremo sempre – come gli apostoli e i primi cristiani –il pensiero e il cuore protesi a tale giorno, così come si pensa con gioia e quasi con impazienza al giorno dell’appuntamento con una persona cara.
Ogni mattina, incominciando la nostra giornata, dovremmo ricordarci che la nostra vita può assumere l’alto valore di essere un’offerta da presentare all’altare del Signore. Allora certamente una luce nuova illuminerà la nostra esistenza e faremo volentieri anche le cose più faticose o di routine; saremo, anzi, contenti di avere l’occasione di riportare qualche bella vittoria su noi stessi, correggendo qualche difetto, dicendo “no” agli impulsi istintivi e peccaminosi, e soprattutto superando l’egoismo, per far prevalere l’amore di Dio e del prossimo. Avviene così la nostra umile partecipazione alla Passione di Cristo per risorgere a vita nuova.
Vivificato dalla partecipazione alla S. Messa, la domenica, giorno di festa per stare con il Signore, diventa anche giorno di gioia per incontrarsi con i fratelli. È un modo di incontrarsi non banale e mondano, ma serio e insieme lieto e costruttivo, tale da rendere testimonianza di quella “diversità” di cui i cristiani dovrebbero essere caratterizzati in una società materialistica, spesso chiusa ai valori trascendenti della vita: «L’assemblea eucaristica domenicale – si legge nella lettera apostolica Dies Domini – è un evento di fraternità… Se la partecipazione all’Eucaristia è il cuore della domenica, sarebbe tuttavia limitativo ridurre solo ad essa il dovere di “santificarla”. Il giorno del Signore è infatti vissuto bene3 se è tutto segnato dalla memoria grata e operosa dei gesti salvifici di Dio. Questo impegna ciascuno dei discepoli di Cristo a dare anche agli altri momenti della giornata – vita di famiglia, relazioni sociali, momenti ricreativi – uno stile che aiuti a far emergere la pace e la gioia del Risorto nel tessuto ordinario della vita» (nn. 44. 52).
La domenica dovrebbe perciò essere davvero «una porta ampiamente aperta verso il cielo, al fine di lasciar penetrare in noi la luce e la forza di tutta una settimana» (Edith Stein).