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Con l’Avvento ricomincia l’anno liturgico, il tempo sacro (kairòs) in cui la Chiesa celebra il grande mistero della salvezza che si è manifestato e che si va compiendo nella storia dell’umanità. Il suo nucleo essenziale è l’evento Gesù Cristo: il Figlio di Dio che si è incarnato ed è entrato nel mondo per condurre gli uomini al loro fine ultimo, alla piena comunione di vita con Dio Padre nel Regno dell’eterna vita. Non è quindi soltanto la rievocazione della prima venuta di Cristo, ma la realtà della sua Presenza che già agisce, per potenza di Spirito Santo, nelle menti e nei cuori degli uomini per creare un’umanità nuova, liberata dalla schiavitù del male.

Oggi, forse perché l’umanità è più che mai lacerata da tanto odio e violenza, disorientata e angosciata davanti ad un futuro su cui incombono minacce di catastrofi e distruzioni inarrestabili, si sente il futuro come una minaccia. L’uomo non riesce a salvarsi da solo. Lo si constata ogni giorno di più, ma pochi sanno dove rivolgere lo sguardo, chi attendere, chi invocare per ricevere aiuto…

Anche quelli che non si abbandonano al pessimismo, non sempre sanno discernere i segni dei tempi e porre i loro passi sulla via della salvezza, poiché sulla scena del mondo si presentano molti falsi profeti e salvatori che propongono vie alternative, più facili e quindi più allettanti, anche se illusorie.

L’umanità è gravemente malata; per curarla non bastano i palliativi: le occorre una terapia forte che la porti alla radicale conversione. Le occorre Colui che è il Medico e la Medicina: Gesù Cristo e questi crocifisso. Il mistero dell’Incarnazione è infatti strettamente associato a quello della Passione-Morte-Risurrezione… L’Avvento è collegato con la Pasqua. Il Bambino nato a Betlemme rimanda al Gesù di Nazareth crocifisso a Gerusalemme, risorto e asceso al Padre, al Cielo, donde ritornerà quale giudice glorioso all’ultima ora della storia.

È Lui, e soltanto Lui, che bisogna annunziare e attendere senza timore. È importante che la nostra attesa non rimanga nel vago; occorre sapere, per fede, chi attendere per riconoscerlo e accoglierlo concretamente nella propria vita.

In questo cammino di fede e di speranza per realizzare la civiltà dell’amore e quindi della pace, ci accompagna Maria, la Madre di Gesù, la tutta santa, immacolata: la primizia dell’umanità nuova.

È lei a condurci a Colui che è la Vita; è lei a suggerirci, come fece alle nozze di Cana, di fare tutto quello che Egli ci dice nel Vangelo; è lei che ci mostra come obbedire al comandamento dell’amore, come dare alla nostra esistenza l’impronta delle Beatitudini… È lei che c’insegna a pregare guardando a Lui, il Figlio di Dio tutto rivolto al Padre. Maria ci dona continuamente Gesù; accostandoci al suo cuore di Madre troviamo Colui che ci rigenera nell’amore e ci salva. Ma ella ci invita anche, necessariamente, alla penitenza, alla conversione, all’umiltà che ci conforma a Gesù mite e umile di cuore. Ella è particolarmente presente nella liturgia dell’Avvento che, con la ricchezza dei suoi elementi, educa ad una giusta attesa e ad una vera preparazione.

Nota dominante è il tema dell’ “elevazione”, del movimento anelante verso Qualcuno che sta per venire. Molto significativa è, in proposito, l’antifona d’ingresso della prima domenica: « A te, Signore, elevo l’anima mia… » (Salmo 25,1): la creatura umana sembra quasi voler sollevare sulle mani, in un gesto concreto, la propria vita per affidarla e insieme farne omaggio alla Fonte da cui è scaturita. È un gesto di totale abbandono che, nato dalla fiducia, sboccia nella pace. L’antifona, infatti, prosegue: «Dio mio, in te confido». Questo abbandono e questa pace non sono passività, immobilità, attesa inerte, bensì esprimono la piena disponibilità dell’anima ad armonizzarsi con il disegno divino, a mettersi sulla nuova via che le viene aperta davanti: «Mostrami, Signore le tue vie; insegnami le tue strade».

Vivere l’Avvento significa dunque mettersi spiritualmente in viaggio, accompagnati dalla Vergine Madre, per l’incontro con l’Amato sempre desiderato e atteso.

Anche la voce dell’Apostolo esprime l’entusiasmo di chi parte al mattino di buon’ora per camminare con il chiarore del giorno crescente: «Fratelli,  è ormai tempo di svegliarvi dal sonno… La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13, 11-12). Risvegliarsi, correre, lasciarsi illuminare. Questo rende bella la vita!

Se fossimo soli a doverci muovere ci troveremmo presto, malgrado ogni buona intenzione, in difficoltà; ma c’è movimento in duplice senso: dalle profondità verso le altezze (ed è il nostro cammino), ma anche  dalle altezze verso le profondità (ed è il cammino di Dio, la sua discesa). Noi, infatti, possiamo muoverci verso Dio solo perché per primo Dio si muove verso di noi e ci attrae. E su questa via c’è un punto in cui le orme dei nostri passi si confondono con quelle del Padre: è il Verbo Incarnato verso cui lanciamo il nostro grido di impaziente desiderio che trova nelle parole dei salmi gli accenti più toccanti: «Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza» (Salmo 85,8); «Fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi» (Salmo 80,4); «Ha sete di te l’anima mia» (Salmo 63,2).

La grazia che l’Avvento ci porta consiste proprio nel farci sperimentare interiormente l’attesa della venuta di Cristo quasi come un sacramentale, un battesimo che purifica l’anima nel crogiuolo del desiderio.

In questo tempo ci troviamo quindi come al bivio della strada che ci conduce alla riscoperta della nostra esistenza quale relazione d’amore con un Dio che ci è Padre e con gli altri uomini che ci sono fratelli. Saper scegliere la direzione giusta significa riscoprire il valore dell’esistenza e il segreto della felicità. E poiché è in Cristo che possiamo trovare tutto questo, l’essenziale è riuscire a trovarci veramente a faccia a faccia con Lui e riconoscerlo.

Come sempre, la liturgia è molto incoraggiante a questo riguardo, e tiene la nostra attesa e la nostra ricerca animate da una santa allegrezza, da una speranza viva: «Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare i popoli e farà sentire la sua voce potente per la gioia del vostro cuore», afferma l’antifona di ingresso della seconda Domenica.

L’annuncio è pieno di certezza. Ma l’anima vuole sentire conferma dalla stessa viva voce del Desiderato e non esista a domandargli insieme con Giovanni Battista: «Sei tu colui che deve venire, o dobbiamo attenderne un altro?» (Matteo 11, 3).

Sei Tu? Questa ricerca del Tu, dell’Unico in cui l’anima ritrova se stessa e la propria completezza, costituisce la più profonda esigenza dell’esistenza umana. È, ovviamente, una ricerca che non tende soltanto a possedere il Tu, ma anche e soprattutto a donarsi a lui, ossia a realizzare con lui una tale comunione di vita da sopprimere la dualità. «Chi sei tu?» E Gesù risponde con la manifestazione concreta dell’amore: «I ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti vengono risuscitati, i poveri ricevono la Buona Novella» (Matteo 11,5).

E dove c’è l’amore, il Signore è presente, è già incarnato. Perciò si può davvero gioire, come invita a fare l’Apostolo: «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi» (Filippesi 4,4).

Qualcuno forse dirà: «Ma come è possibile rallegrarsi mentre c’è tanto male e tanto dolore in tutto il mondo? Non sarebbe un affronto a chi piange?». La gioia del Signore e nel Signore è dono di consolazione proprio per i poveri e i sofferenti; è il sorriso del Cielo che si china a baciare la terra.

La Vergine Madre e la Madre Chiesa ci insegnano ad invocare la Gioia che ha nome Gesù per noi e per tutta l’umanità: «Vieni, Signore Gesù!».

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